Più di cento anni sono passati dall’accensione della prima lampada grazie all’energia geotermica, avvenuta a Larderello nel 1904 ad opera del principe Piero Ginori Conti, e tuttavia la generazione di energia elettrica da fonte geotermica è oggi oggetto di rinnovata attenzione e presenta un potenziale di grande interesse in tutto il mondo. Grande rilievo ha avuto nel riaccendere il dibattito la presentazione dello studio, ad opera del prestigioso Massachusetts Institute of Technology (MIT), The Future of Geothermal Energy (2006), che ritiene possibile giungere, nel 2050, ad una potenza installata da fonte geotermica pari a 100 GW nei soli Stati Uniti: all’incirca il 10% dell’attuale potenza nominale ivi installata e dunque una frazione rilevante ai fini della copertura del fabbisogno energetico, confrontabile con la potenza installata da fonte nucleare (108 GW al 2012) e idroelettrica (99 GW al 2012, comprensiva della quota derivante dagli impianti di pompaggio)[1].
1. Formazione della energia geotermica
L’energia geotermica è l’energia immagazzinata sotto forma di calore sotto la superficie solida della terra, ed il suo sfruttamento può essere realizzato in modo sostenibile, con importanti aspetti positivi: si tratta di una fonte rinnovabile, praticamente infinita, che fornisce energia termica ed elettrica in modo ininterrotto e con potenza costante; rispettosa dell’ambiente, contribuisce a ridurre le emissioni di CO2 e necessita di una limitata occupazione di suolo e infine, in quanto endogena, riduce la vulnerabilità derivante dalle importazioni di energia.
L’enorme quantità di energia che è racchiusa al di sotto della superficie terrestre deriva in parte dal processo di formazione primordiale dell’universo e in parte è originata dal decadimento degli isotopi radioattivi (uranio, torio e potassio) presenti principalmente nella crosta terrestre e secondariamente nel mantello. Dal centro della terra, la cui temperatura è stimata superiore a 5.000 °C, si origina quindi un flusso termico verso la superficie che va a sommarsi al flusso termico di origine radiogenica, dando luogo ad una potenza termica complessiva emanata dalla terra pari, secondo le stime[2], a 42×1012 W e ad un flusso termico terrestre medio pari a 65 mW/m2 in corrispondenza della crosta continentale e a 101 mW/m2 in corrispondenza della crosta oceanica[3]. Poiché la superficie della terra non è però continua, ma bensì costituita da un insieme di placche adiacenti, in moto una rispetto all’altra come previsto dalla teoria della tettonica a placche, è evidente che, in corrispondenza di discontinuità della superficie, cioè di assottigliamenti o fratture della crosta terrestre, questa grande quantità di energia proveniente dal sottosuolo ha modo di essere trasferita in superficie in modo molto più efficace e visibile, generando alcuni fenomeni fisici ben noti e importanti, come il vulcanismo, i soffioni, i geyser e le sorgenti termali: Toscana, Lazio, Campania e l’antistante zona tirrenica sono caratterizzate da un locale assottigliamento della crosta terrestre e un elevato flusso di calore, che può giungere fino a 450 mW/m2, e costituiscono quindi un’area privilegiata per lo sfruttamento dell’energia geotermica[4]. I Paesi che hanno seguito l’Italia, e per primi si sono affacciati nel panorama della generazione elettrica per via geotermica, cioè Giappone, Stati Uniti, Nuova Zelanda e Messico, sono posizionati in corrispondenza dei margini di placche continentali e la loro posizione ha reso possibile lo sviluppo della tecnologia di generazione elettrica da fonte geotermica.
Ripercorrendo la storia di questa tecnologia, si vede come, in modo incontrovertibile, si sia cominciato dai casi in cui lo sfruttamento era più immediato, perche già la natura del luogo metteva a disposizione un fluido geotermico (il vapore nella fattispecie) con una intrinseca alta capacità di compiere lavoro, fino ad arrivare a casi meno immediati, con fluido geotermico costituito da acqua calda, che necessita, per la generazione di energia elettrica, dell’adozione di un ciclo più complesso. Oggi un nuovo salto è imminente: perché la geotermia possa costituire una risorsa energetica rilevante, come prospettato dallo studio del MIT, è necessario non limitarsi alle zone privilegiate e superficiali ai margini della placche (che rappresentano meno di 1/10 delle terre emerse) ma sviluppare una tecnologia che consenta lo sfruttamento dell’energia geotermica quasi ovunque, per mezzo del convogliamento in superficie di un opportuno fluido termovettore e la generazione di energia elettrica a mezzo di un sistema di conversione ad alto rendimento, nella maggioranza dei casi di un ciclo cosiddetto «binario», cioè un ciclo che – accanto al fluido endogeno – impiega un secondo fluido per la conversione di potenza.
2. I sistemi geotermici
Perché l’energia geotermica possa essere sfruttata in superficie, è necessario un sistema, detto appunto sistema geotermico, che convogli in superficie l’energia termica presente in profondità. Concettualmente un sistema geotermico è costituito da quattro elementi principali[5] : (1) una sorgente termica; (2) un serbatoio; (3) un fluido termovettore, che trasferisce in superficie il calore; (4) un meccanismo di ricarica.
Al di sotto della superficie terrestre, la temperatura della terra è ovunque sempre crescente con la profondità, anche se con legge variabile a seconda del sito: il valore del gradiente geotermico medio è pari a circa 25-30°C/km, ma può essere più elevato in zone particolari, fino a raggiungere valori dell’ordine di 300°C/km (caso di anomalia geotermica); in ogni caso, al crescere della profondità, si ha a disposizione una sorgente termica da utilizzare con una temperatura sempre crescente, coerentemente con il gradiente geotermico locale.
Il serbatoio è costituto da una roccia porosa, all’interno della quale si raccoglie e può circolare il fluido termovettore, detto fluido geotermico; tale fluido può essere a priori qualsiasi, ma nei sistemi geotermici esistenti in natura è normalmente costituito da acqua con sali e gas disciolti.
2.1. I sistemi idrotermali
In natura si trovano spontaneamente diversi tipi di sistemi geotermici; tra questi, è diffuso e ben conosciuto il sistema idrotermale, tipicamente utilizzato per la generazione di energia elettrica convenzionale.
In un sistema di questo tipo (Fig. 1), il fluido geotermico è costituito da acqua, generalmente di origine meteorica. La roccia porosa che costituisce il serbatoio è posizionata tra due strati, uno inferiore e uno superiore, di rocce impermeabili, che essendo però spesso fratturate consentono il passaggio del fluido in alcuni punti e fanno sì che si instauri una circolazione naturale di acqua che trasferisce in superficie il calore. Le acque meteoriche fredde si infiltrano infatti ai margini del sistema, scendendo inizialmente verso il basso, attraversano quindi la roccia porosa riscaldandosi per effetto del flusso termico cui sono soggette – e nello stesso tempo arricchendosi di sali e minerali che vengono facilmente disciolti nell’acqua grazie all’elevata temperatura locale – e risalgono infine verso l’alto, originando le sorgenti termali. Se il sistema idrotermale si trova in prossimità di aree vulcaniche, è possibile che al flusso di calore terrestre si sommi il flusso derivante dal raffreddamento di possibili intrusioni magmatiche, dando origine ad un flusso di calore particolarmente elevato: soprattutto in questo caso, è possibile che l’acqua sia trasformata in vapore dando a luogo a fenomeni superficiali ben noti quali geyser o soffioni.
In un simile contesto idrogeologico, la perforazione di un pozzo consente di portare in superficie il fluido geotermico e renderlo disponibile per lo sfruttamento in un’apposita centrale geotermoelettrica. Generalmente si aggiunge al pozzo di produzione (cioè estrazione) del fluido anche un pozzo di reiniezione del fluido geotermico utilizzato per evitare l’impoverimento del serbatoio, nel caso frequente in cui la ricarica delle acque meteoriche non sia sufficiente o possibile.
2.2. I sistemi EGS
L’idea di sfruttare le formazioni rocciose ad alta temperatura e bassa permeabilità non è affatto nuova, e venne proposta alla fine degli anni ’60 del secolo scorso con il nome di Hot Dry Rock: da allora molti sviluppi si sono succeduti con alterne vicende fino ad arrivare allo sviluppo degli odierni sistemi EGS – Engineered (o Enhanced) Geothermal Systems. Nella sua concezione originaria, il sistema Hot Dry Rock voleva riprodurre artificialmente ciò che la natura spontaneamente crea nei sistemi idrotermali, accoppiando una sorgente termica naturale esistente ad un serbatoio creato artificialmente, nel quale potesse circolare un opportuno fluido termovettore: si trattava, sostanzialmente, di identificare una formazione rocciosa idonea, possibilmente in una zona ad alto gradiente geotermico locale[6], a profondità sufficiente da garantire una temperatura adeguata e fratturarla artificialmente per mezzo di iniezione di acqua ad altissima pressione in modo da renderla porosa e permeabile.
Il concetto EGS prevede quindi di recuperare l’energia termica delle rocce più profonde per mezzo della creazione di un sistema di fratture artificiali della roccia che devono essere fra loro interconnesse, in modo da permettere la circolazione dell’acqua (iniettata attraverso appositi pozzi) che, una volta riscaldata dal contatto con le rocce calde, viene poi riportata in superficie, costituendo così un circuito virtualmente chiuso. Dalla lunga esperienza Hot Dry Rock emerse che, anziché creare fratture in una roccia compatta, era più conveniente stimolare ed aumentare fratture già esistenti, e da qui venne coniata la terminologia EGS[7].
Il grande vantaggio dei sistemi EGS è che i requisiti per la creazione del sistema sono molto limitati e potendo compensare con una profondità superiore i casi di gradiente termico locale non elevato si amplia enormemente l’estensione delle zone idonee alla produzione geotermoelettrica.
La possibilità di soddisfare in futuro una quota non trascurabile della richiesta di energia elettrica per via geotermica è basata sull’utilizzo dei sistemi EGS: quindi sulla capacità di riuscire a fratturare la roccia, a realizzare la circolazione di un fluido termovettore senza che questo venga disperso nel serbatoio e a contenere sotto livelli accettabili (cioè non dannosi e non percepibili dalla popolazione) la microsismicità indotta dall’iniezione di fluido, analogamente a quanto avviene nel caso dell’Enhanced Oil Recovery, pratica largamente utilizzata in ambito petrolifero.
È da ultimo interessante menzionare che, oltre all’ovvio utilizzo di acqua come fluido termovettore, alcuni studi sono incentrati sull’utilizzo di CO2 quale fluido termovettore, con possibili sinergie con il settore della cattura e sequestro geologico della CO2 e prestazioni comunque significative.
2.3. Altri sistemi geotermici
Altri sistemi geotermici esistenti in natura, e con un potenziale locale molto elevato, ma concentrato in aree ben definite, sono raggruppabili nella categoria degli UGS – Unconventional Geothermal Systems: tra i più importanti si ricordano i sistemi con fluidi supercritici e i sistemi geopressurizzati.
Poiché la potenziale capacità di un fluido geotermico di compiere lavoro rispetto ad un ambiente prefissato cresce più che linearmente con la pressione e la temperatura del fluido considerato, vi è un evidente interesse verso lo sfruttamento di fluidi geotermici con caratteristiche termodinamiche sempre più elevate, anche se si tratta di casi necessariamente localizzati e non diffusamente distribuiti in tutto il mondo. Si parla così di sfruttamento dei fluidi supercritici, che si trovano cioè in condizioni di pressione e temperatura superiori a quelli del punto critico dell’acqua. Sistemi geotermici con fluidi supercritici si possono trovare in aree vulcaniche: a tal proposito si possono menzionare l’Iceland Deep Drilling Project, attualmente in corso in Islanda e il Campi Flegrei Deep Drilling Project in Italia[8].
I sistemi geopressurizzati consistono, invece, in sistemi nei quali l’acqua si trova in acquiferi in pressione, a pressioni molto elevate che possono avvicinarsi alla pressione litostatica[9], e spesso in presenza di metano; un impianto dimostrativo esercito nel 1989-90 negli Stati Uniti ne ha dimostrato la fattibilità tecnica ma non quella economica[10].
3. Technologie per la conversione dell’energia geotermica
Da quanto sinora delineato, è evidente come il successo di un progetto di sfruttamento dell’energia geotermica richieda competenze di tipo multidisciplinare e la diffusione su larga scala debba essere fondata sullo sviluppo dell’insieme di tecnologie coinvolte. Per arrivare alla generazione di energia elettrica sono necessarie diverse fasi, e cioè: l’identificazione della risorsa, la successiva perforazione, la costruzione dell’impianto di convogliamento del fluido geotermico alla centrale elettrica e la gestione del serbatoio, che deve garantire disponibilità di fluido con opportune caratteristiche per tutta la vita utile dell’impianto, e infine la costruzione dell’impianto di conversione dell’energia geotermica in energia elettrica. Nell’ambito di questo lavoro verrà concentrata l’attenzione su quest’ultimo aspetto, rimandando a testi specifici gli approfondimenti inerenti l’identificazione dei siti idonei e la produzione di fluido geotermico.
Progettati e costruiti su misura per il fluido geotermico che arriva in superficie, gli impianti geotermici per la produzione di elettricità si differenziano sia per il tipo di ciclo da adottare, sia per gli eventuali requisiti di tale ciclo, dei componenti e del trattamento degli effluenti imposti dalla composizione chimica del fluido. Un esempio di composizione chimica del fluido per differenti campi geotermici è riportato in Fig. 2, da cui si evince come il fluido, costituito da acqua con sali e gas disciolti (principalmente CO2 e H2S, in percentuali estremamente variabili da sito a sito), sia spesso aggressivo e corrosivo, ponendo così requisiti stringenti ai materiali da adottare per i componenti a contatto con il fluido.
L’esame delle tecnologie attualmente disponibili per la generazione di energia elettrica può essere utilmente svolto richiamando lo sviluppo avutosi dagli albori ad oggi.
3.1. Gli impianti a vapore
Ai margini delle placche continentali, dove spesso è presente un’intensa attività vulcanica, è frequente trovare sistemi idrotermali ad alta temperatura a profondità relativamente bassa (fino a 3-4 km), collegati all’attività vulcanica e facilmente sfruttabili per generazione di energia elettrica: come già accennato, qui sono sorti gran parte dei primi impianti realizzati al mondo. In un contesto così particolare, il fluido geotermico, che si trova a temperatura molto alta e normalmente allo stato liquido nel serbatoio, durante il moto di risalita verso la superficie è soggetto ad una diminuzione di pressione, e raggiunge solitamente la pressione di saturazione in un punto intermedio del percorso di risalita, trasformandosi così in vapore che, una volta arrivato a bocca di pozzo, può essere inviato ad un espansore. Nella pratica, raramente si ha a disposizione vapore saturo secco (Larderello è una ben nota eccezione): più spesso il fluido che arriva a bocca di pozzo è costituito da una miscela bifase di acqua liquida e vapore. Nonostante siano stati effettuati alcuni studi sugli espansori bifase, la soluzione convenzionalmente adottata in questi casi consiste nella separazione dalla fase liquida della fase vapore, eventualmente dopo un processo di flash[11], che può così essere inviata ad una comune turbina a vapore, mentre la fase liquida può essere direttamente reinviata al pozzo di reiniezione. La turbina a vapore, accoppiata ad un alternatore che genera energia elettrica, costituisce il cuore di un impianto ben più complesso (Fig. 3) in cui è presente un condensatore, che deve essere coadiuvato nella sua funzione da un sistema di rimozione dei gas incondensabili (principalmente CO2); tale rimozione dei gas è attuabile con eiettori o compressori a seconda della quantità di gas da rimuovere. Il condensatore può essere raffreddato ad aria, oppure, come nell’esempio di Fig. 3, ad acqua di torre ed in questo caso si adotta spesso uno scambiatore a miscela anziché a superficie come nelle comuni centrali a vapore.
A valle del sistema di rimozione degli incondensabili, un sistema di trattamento degli effluenti gassosi rimuove H2S e Hg eventualmente presenti; i sistemi normalmente adottati non separano invece la CO2, che viene liberata in atmosfera, generando un’emissione specifica estremamente variabile da sito a sito – in Italia si ha un’emissione specifica mediamente pari a 365 g CO2/kWh[12] contro quella ad esempio degli impianti statunitensi pari a 91 g CO2/kWh[13], che è comunque inferiore a quella caratteristica di una centrale a combustibile fossile – in Italia pari a 722 g CO2/kWh[14]. Una volta condensato, il fluido geotermico può essere inviato al pozzo di reiniezione e quindi reimmesso nel sottosuolo.
3.2. Gli impianti binari
All’aumentare della frazione di liquido, oppure in presenza di fluido geotermico costituito da sola acqua liquida, la tecnologia degli impianti con espansione diretta del fluido geotermico non risulta più conveniente, e si ottengono migliori prestazioni adottando un ciclo cosiddetto «binario», in cui la conversione della potenza termica in potenza meccanica avviene in un circuito completamente separato. Tipicamente si considera che il passaggio alla tecnologia del ciclo binario sia conveniente quando il fluido geotermico è costituito prevalentemente da acqua intorno ai 180 °C, ma è evidente come questo limite sia solo indicativo e in realtà esista un’ampia zona di sovrapposizione delle due tecnologie.
Il grande interesse di questa tecnologia risiede nel fatto che essa consente di sfruttare sia le risorse geotermiche non direttamente correlate ad attività vulcaniche, caratterizzate da temperature del fluido non particolarmente elevate, ma più uniformemente distribuite in tutto il mondo, sia i sistemi EGS, cioè la grande opzione per il futuro, ed eventualmente anche di potenziare, per mezzo di schemi di impianto misti, gli impianti a vapore a flash prima descritti ed estende quindi l’uso della geotermia su grande scala. Nelle previsioni di crescita della potenza installata per via geotermica, a questa tecnologia, che nel 2010 rappresentava a livello mondiale solo 1 GW di potenza installata a fronte di 3 GW di impianti a vapore saturo secco e 6 GW di impianti a vapore a flash, e dunque approssimativamente il 10% su un totale di circa 10 GW, è affidato quindi un ruolo importante nel raggiungimento degli obiettivi e per tale ragione essa verrà diffusamente trattata nel seguito, evidenziandone potenzialità e criticità.
La Fig. 4 illustra le condizioni operative di un ciclo binario: si tratta di un ciclo termodinamico chiuso, che si trova ad operare tra una sorgente calda a temperatura variabile, costituita dal fluido geotermico che cedendo calore si raffredda e la cui temperatura varia dal valore a bocca di pozzo fino a quello di scarico (cioè di reiniezione) del fluido geotermico, ed un pozzo di calore costituito dall’ambiente. Una volta assegnate sorgenti termiche e portata di fluido geotermico, si ottiene facilmente la potenza elettrica producibile moltiplicando la potenza termica introdotta nel ciclo per il rendimento di conversione η del ciclo termodinamico. Quest’ultimo dipende fortemente dalla temperatura del fluido geotermico, come è ben evidente in Fig. 5.
Per comprendere la ragione della variazione delle prestazioni del ciclo binario al variare della risorsa geotermica è utile ricordare che:
ηI = ηREV∙ ηII
cioè il consueto rendimento del ciclo di I principio è dato dal prodotto del rendimento del ciclo reversibile che lavora tra le sorgenti termiche assegnate (e che dipende solo dalle temperature)[15] moltiplicato per un coefficiente riduttivo (detto rendimento di II principio e compreso tra 0 e 1) che dipende dalla «bontà» del ciclo: un ciclo binario ben progettato si situa nella zona superiore della fascia rappresentata in figura ed è caratterizzato da un elevato ηI. I rendimenti di II principio degli impianti attualmente in esercizio sono indicativamente compresi tra 0,25 e 0,50[16]. L’ottimizzazione termodinamica del ciclo, mirata all’ottenimento di un alto rendimento di conversione, porta alla definizione dello schema di impianto da adottare, alla scelta del fluido di lavoro e dei valori dei principali parametri operativi (ad esempio, pressioni di evaporazione e condensazione).
La scelta del fluido di lavoro è particolarmente importante e distingue le due grandi categorie possibili di cicli binari: i cicli ORC-Organic Rankine Cycle a fluido organico e i cicli a miscela di acqua e ammoniaca, comunemente chiamati cicli di Kalina. La tecnologia degli impianti ORC è commercialmente matura, pur se suscettibile di ulteriori miglioramenti in termini di prestazioni e soprattutto di costi, mentre il ciclo di Kalina, nonostante sia stato proposto già molti anni orsono, è in realtà di introduzione relativamente recente nel mondo geotermico.
In un ciclo ORC (Fig. 6) il fluido geotermico proveniente dal pozzo, ed eventualmente spinto da una apposita pompa sommersa ivi situata, alimenta in controcorrente l’evaporatore e il preriscaldatore e viene successivamente reiniettato nel sottosuolo; all’uscita dell’evaporatore, il vapore del fluido organico entra in turbina, dove si espande trascinando il generatore che produce energia elettrica, e successivamente esso viene condensato ed inviato ad una pompa che ne eleva la pressione fino a raggiungere il valore di ingresso del preriscaldatore, per poi riprendere così il ciclo.
Il ciclo di Kalina è rappresentato in Fig. 7, nella versione utilizzata nell’impianto di Husavik in Islanda[17]: si tratta di uno schema impiantistico sensibilmente più complesso, dove oltre allo scambiatore di calore primario, alla turbina, al condensatore e alla pompa sono presenti un separatore e un certo numero (due in questo caso) di scambiatori di calore rigenerativi.
La soluzione attualmente più diffusa è costituita dal ciclo ORC ad un solo livello di evaporazione; sempre restando nell’ambito dei cicli ORC, prestazioni migliori sono tuttavia ottenibili adottando una soluzione impiantistica più complessa, e cioè con ciclo multilivello (sempre subcritico) oppure con ciclo ipercritico. Nell’immediato futuro le soluzioni più interessanti sono il ciclo ORC multilivello, nella fattispecie con due livelli di evaporazione, e il ciclo di Kalina, per il quale sono previste sulla carta prestazioni leggermente superiori rispetto all’ORC, ma che si basa su una tecnologia non ancora matura (prova ne è il sofferto avviamento dell’impianto di Unterhaching in Germania). L’opzione con ciclo ipercritico potrebbe invece risultare conveniente nel campo di temperature più elevate (intorno a 200 °C)[18], nella zona di sovrapposizione con i cicli a flash.
Si deve infine osservare che, in un ciclo binario, il fluido geotermico cede la sua energia termica senza venire a contatto con l’ambiente, con evidenti vantaggi: le eventuali sostanze nocive presenti (e anche l’eventuale CO2 disciolta) vengono reiniettate direttamente nel sottosuolo. Un altro vantaggio dei cicli binari, conseguente all’utilizzo del fluido geotermico in fase liquida, è legato ai ridotti problemi di incrostazioni dei componenti: evitando il processo di flash, ed utilizzando eventualmente una pompa sommersa che mantenga allo stato liquido il fluido geotermico, si evita che la concentrazione di sostanze incrostanti (che restano nella fase liquida durante un processo di flash, aumentando così la loro concentrazione) superi il limite di precipitazione. Questi ultimi aspetti evidenziati spostano chiaramente la convenienza tra impianti a flash e impianti binari a favore di questi ultimi.
3.3. Altri schemi di impianto
Per temperature e pressioni superiori a quelle di comune utilizzo degli impianti a flash, quali si potrebbero avere con sistemi EGS avanzati o fluidi supercritici, risultano in generale più convenienti schemi di impianto studiati ad hoc. A questo proposito si può ricordare come il citato studio del MIT suggerisca, nel caso di fluidi geotermici supercritici, l’adozione di un ciclo a doppio flash a valle di una turbina a contropressione ipercritica. Una elevata pressione del fluido geotermico, dell’ordine di qualche centinaio di bar, pur costituendo un potenziale da sfruttare, pone comunque dei problemi impiantistici, sia nel caso possa essere sfruttata (ad esempio per mezzo di una turbina a vapore, che rischia di avere un titolo allo scarico troppo basso), sia nel caso non venga sfruttata, perché obbliga a dimensionare i componenti per valori molto elevati delle pressioni: è emblematico il caso dell’impianto di Cooper Basin, citato nel seguito, per il quale si hanno 345 bar in superficie[19].
Nell’ambito invece delle usuali condizioni di pressione e temperatura dei fluidi geotermici, caratteristici ad esempio dei sistemi idrotermali, le tecnologie dell’impianto binario e dell’impianto a flash possono essere utilmente integrate per realizzare impianti detti misti o ibridi, che consentono un maggior sfruttamento del fluido geotermico, in quanto la frazione di liquido separata dall’impianto a flash, anziché essere reiniettata direttamente nel sottosuolo, viene utilizzata per alimentare un impianto ORC.
4. Le sfide attuali
Due sono le possibili strade per incrementare l’attuale tendenza di crescita di sfruttamento dell’energia geotermica: una più ambiziosa, tecnicamente più impegnativa ma di grandissimo potenziale, che consiste nello sfruttamento dei sistemi EGS, e una più immediata, a minor potenziale, ma da non sottovalutare proprio per la sua intrinseca semplicità e fattibilità tecnica, che consiste nello sfruttamento dei sistemi idrotermali a bassa temperatura oppure a grande profondità.
La presenza dei potenziali sistemi EGS quasi ovunque e le prestazioni raggiungibili ne giustificano il grande interesse: la possibilità di ottenere un fluido geotermico ad alta temperatura, che garantisce un rendimento di conversione adeguato, in zone non necessariamente caratterizzate da vulcanismo attivo è certamente attraente. Per questa ragione, diversi progetti di ricerca, a partire dagli anni ’70 del secolo scorso, hanno avuto come oggetto il tentativo di estendere lo sfruttamento dell’energia geotermica dai sistemi idrotermali “high grade”, caratterizzati cioè dalla presenza di una roccia naturalmente porosa e soggetti ad alto gradiente geotermico, verso i sistemi con rocce meno porose e gradiente geotermico meno elevato, ritenendo di poter sopperire a questi difetti intrinseci della risorsa con una fratturazione artificiale della roccia e il raggiungimento di rocce a profondità superiori (il limite dell’attuale tecnologia di perforazione è di circa 10 km) in modo da garantire comunque una temperatura adeguata del fluido geotermico.
In Fig. 8 sono riportati i valori di temperatura del fluido geotermico per alcuni dei progetti più significativi sviluppati nel corso degli anni: tra i siti elencati il primo nel quale si è arrivati a generare energia elettrica è Soultz, che sfrutta un fluido geotermico a 180 °C; tra gli altri, è da segnalare Cooper Basin, per il quale è stata completata con successo la fase di test, mentre Basel è stato interrotto, in attesa di ulteriori analisi di rischio sismico, a seguito di un sisma avvenuto all’inizio del 2007 e percepito dalla popolazione. Si osserva inoltre che il progetto di Gross Schönebeck prevede l’utilizzo del fluido a una temperatura di 150 °C, cioè relativamente bassa: sia nel caso dei sistemi EGS, sia nel caso dei sistemi idrotermali, la possibilità di uno sfruttamento conveniente dal punto di vista economico con temperature sempre più basse rende disponibili risorse in quantità superiore e/o più facilmente raggiungibili (a profondità inferiori, e con costi di perforazione inferiori). Numerosi siti in Europa potrebbero in un futuro prossimo ospitare impianti geotermici che sfruttano sia sistemi idrotermali, sia sistemi EGS (Fig. 9).
Soprattutto nel caso dei sistemi idrotermali, è però impegnativo garantire la convenienza economica a temperature sempre più basse: al diminuire della temperatura, come si è visto, il rendimento del ciclo tende a diminuire, e l’impianto deve essere progettato con particolare cura in modo da restare nella fascia alta di Fig. 5. Tuttavia, l’inevitabile calo di rendimento implica che, a parità di potenza elettrica prodotta, le potenze termiche scambiate siano maggiori, con conseguente aumento di dimensione e costo degli scambiatori di calore; diventa inoltre percentualmente sempre più importante il consumo degli ausiliari (si pensi ad esempio al consumo degli ausiliari del condensatore, in prima approssimazione proporzionale alla potenza termica da scambiare, e all’assorbimento di potenza da parte della pompa sommersa che convoglia il fluido geotermico a bocca di pozzo). È allora evidente che, al di sotto di una certa temperatura, difficilmente la sola generazione di energia elettrica può garantire un ritorno economico: diventa pertanto necessario realizzare impianti che uniscano alla generazione elettrica la produzione di calore, eventualmente non contemporanea, tipicamente per usi civili (energia elettrica d’estate ed energia termica d’inverno).
Un’altra opzione estremamente interessante per migliorare le prestazioni di un impianto geotermico è quella di realizzare un impianto ibrido, accoppiando la sorgente geotermica ad altra fonte a più alta temperatura, e realizzare dunque un ciclo termodinamico nel quale una frazione di calore, introdotta a bassa temperatura, provenga dalla sorgente geotermica e una frazione di calore, introdotta ad alta tem-peratura, provenga dalla seconda sorgente termica, che potrebbe essere costituita dal sole, da calore di scarto derivante da un processo industriale o dai fumi generati dalla combustione di biomasse o rifiuti.
Alcuni impianti dimostrativi sono stati costruiti nel corso degli anni con il supporto dell’Unione Europea. Tra questi, il famoso impianto di Soultz-sous-Forêts e quello di Simbach Braunau (Fig. 10). Lo sfruttamento della risorsa geotermica nel primo sito, situato in Alsazia al confine con la Germania, iniziato nel 1987, ha portato alla generazione di energia elettrica nel 2008; dalla lunga attività condotta deriva gran parte del «know how» europeo in ambito di sistemi EGS. L’impianto di Simbach Braunau, al confine tra Austria e Germania, realizzato nel 2009, rappresenta invece il tentativo di sfruttare un sistema idrotermale a bassa temperatura, ed è stato realizzato come ampliamento di un preesistente impianto di teleriscaldamento geotermico; l’impianto rende dunque disponibile una potenza termica, approssimativamente costante durante l’anno, che è utilizzata per generare sia energia elettrica che calore, con andamento variabile in funzione della stagione.
5. Aspetti economici
L’analisi del costo del kWh prodotto da fonte geotermica evidenzia un costo di investimento iniziale particolarmente elevato: per un impianto da 20 MW, oltre ad un modesto costo per l’individuazione del sito e l’analisi geofisica, si stima che siano necessari 20-30 mil. euro per la fase di perforazione iniziale, per verificare la condizione del serbatoio geotermico, e altri 30 mil. euro per la perforazione vera e propria, seguiti da un costo di impian to variabile tra 30 e 60 mil. euro[20].
Ciò significa che al costo di sviluppo del campo geotermico può essere attribuito più della metà del costo di investimento iniziale, e si capisce come il costo dell’investimento totale possa essere molto diverso da sito a sito, in quanto il costo della perforazione dipende dal sito e soprattutto dalla profondità di perforazione. Il costo totale di investimento (al 2007) può comunque essere associato alla tecnologia adottata, e indicativamente si può ritenere che vari da 4.000 euro/kW per l’impianto a vapore secco, per salire a circa 5.000 e a 6.300 euro/kW rispettivamente per l’impianto a flash e a ciclo binario, fino ad arrivare a 12.000 euro/kW per la tecnologia EGS[21]. Questo alto costo di impianto è però controbilanciato da un fattore di utilizzo particolarmente elevato, decisamente superiore a quello di qualsiasi altra fonte rinnovabile: il valore rilevato a posteriori per l’anno 2007 è pari a 73%, ma si considera possibile superare la soglia del 90%, come dimostrato dall’esercizio di alcuni singoli impianti geotermici. La stima di costo di generazione dell’energia elettrica risulta ovviamente anch’essa funzione della tecnologia considerata (Fig. 11).
Il costo dell’energia elettrica prodotta risulta comunque in linea (o eventualmente inferiore) con quello delle altre energie rinnovabili, mentre il sistema di incentivazione, diverso da Paese a Paese, non sempre è paragonabile a quello delle altre fonti rinnovabili.
6. Situazione attuale e prospettive di sviluppo futuro
Nonostante gli aspetti positivi della produzione di energia elettrica da fonte geotermica, in primis la non aleatorietà e l’alto fattore di utilizzo, unitamente a una generazione di emissione di CO2 nulla o molto bassa, la crescita della potenza installata su base mondiale è caratterizzata da un trend approssimativamente lineare, con un incremento di circa 380 MW/anno nell’ultimo quinquennio, che è superiore a quello del precedente quinquennio ma decisamente inferiore a quello di altre fonti rinnovabili (è ben noto come eolico e solare fotovoltaico abbiano un trend di crescita esponenziale).
Le ragioni di questa crescita così lenta possono essere ricondotte agli aspetti già evidenziati, e cioè l’alto costo di investimento iniziale e l’insufficiente incentivazione, ed anche al rischio connesso alla perforazione. Il rischio di perforazione (ovvero di effettuare una perforazione e trovare poi un serbatoio improduttivo) può infatti costituire un notevole freno alla scelta dell’opzione geotermica, e in alcuni casi viene superato grazie all’utilizzo di particolari fondi per la copertura del rischio.
La potenza mondiale installata al 2015 è pari a circa 12 GW e si prevede il superamento della soglia dei 21 GW nel 2020. La generazione di energia elettrica è attualmente concentrata in pochi Paesi (Stati Uniti, Filippine, Indonesia, Messico, Italia, Nuova Zelanda, Islanda e Giappone) e una frazione rilevante viene prodotta in America (Tab. 1).
Tab. 1 : Potenza installata al 2015 ed energia elettrica da fonte geotermica per area.
P | EE | |||
MW | % | GWh/a | % | |
Africa | 601 | 4,8 | 2858 | 3,9 |
America | 5089 | 40,3 | 26353 | 35,8 |
Asia | 3756 | 29,7 | 22084 | 30,0 |
Europa | 2133 | 16,9 | 14821 | 20,2 |
Oceania | 1056 | 8,4 | 7433 | 10,1 |
TOTALE | 12635 | 100,0 | 73549 | 100,0 |
N.B. Sono compresi tutti gli impianti che entreranno in servizio al 2015. Fonte: Bertani (2015)
La previsione di crescita della potenza installata e dell’energia elettrica prodotta da fonte geotermica deve ovviamente fare riferimento al potenziale delle risorse: già questo si dimostra un punto di non facile sviluppo; diversi metodi esistono per la stima delle risorse ed in base a questi sono state ottenute diverse stime del potenziale mondiale[22]. Particolare incertezza esiste per le risorse non collegate ad aree vulcaniche, in quanto spesso i metodi adottati stimano l’entità del potenziale geotermico considerandolo funzione del numero di vulcani conosciuti, e questo concetto non è applicabile per le risorse a bassa temperatura[23].
La previsione di crescita, effettuata dalla International Geothermal Association (IGA) stima raggiungibile al 2050 una potenza installata pari a 70 GW con la corrente tecnologia, e pari a 140 GW con uno sviluppo tecnologico che consenta di sfruttare appieno i sistemi EGS, contribuendo così alla generazione su scala mondiale con una quota prevista superiore all’8%[24]. Si deve a questo proposito osservare, però, che tale valore potrebbe essere conservativo, in quanto lo studio MIT indica un potenziale di 100 GW per i soli Stati Uniti e altri studi valutano un potenziale di 35 GW per la sola Germania; il limite superiore del potenziale geotermico per generazione di energia elettrica è allora compreso, secondo altri studi, tra 1.000 e 2.000 GW.
Tab. 2 : Italia : produzione netta nel 2010 e previsioni di crescita al 2030
2015 | 2030 | |||
Potenza
MW |
Energia elettrica
GWh/anno |
Scenario | Potenza
MW |
Energia elettrica
GWh/anno |
882,5
|
5340 | I | 1500 | 9400 |
II | 2000 | 12000 |
Produzione netta di energia elettrica da fonte geotermica nel 2010 e previsioni di crescita al 2030 per l’Italia, in due diversi scenari: scenario I, con trend di sviluppo corrente e utilizzo di tecnologie mature; scenario II, con un contesto di sviluppo “ecologicamente trainato” e adozione di tecnologie innovative.
Per quanto riguarda l’Italia, la potenza installata al 2015 è pari a 882,5 MW. In Tab. 2 si riassumono le previsioni di crescita al 2030[25] presentate dall’Unione Geotermica Italiana (UGI) per due diversi scenari con differenti tassi di crescita: il primo corrispondente alle condizioni attuali di tecnologia e contesto economico, ed il secondo corrispondente ad uno sviluppo tecnologico avanzato e un contesto economico «ecologicamente trainato».
La trattazione svolta evidenzia, quindi, come il potenziale dell’energia geotermica sia ancora in grandissima parte da sfruttare, e come uno sviluppo della tecnologia di perforazione e gestione del serbatoio geotermico possa contribuire a dare un forte impulso a questo sfruttamento. L’utilizzo dell’energia geotermica può dunque dare un apporto non trascurabile alla produzione mondiale di energia elettrica, e in alcuni Paesi situati in aree geografiche particolari (Africa, centro/sud America, Pacifico occidentale) può contribuire in modo sostanziale al fabbisogno elettrico. Soprattutto sono le caratteristiche di non aleatorietà e ridotta vulnerabilità che rendono l’energia geotermica importante nel futuro mix di generazione, con presenza massiccia di produzioni aleatorie a partire dalle sorgenti eolica e solare.
Notes et références
[1] US Energy Information Administration (2013), Electric Power Annual 2012, Washington DC.
[2] STACEY F.D., LOPER D.E. (1988), Thermal history of the Earth: a corollary concerning non-linear mantle rheology, in Physics of the Earth and Planetary Interiors, vol. 53, pp. 167-174.
[3] POLLACK H.N., HURTER S.J., JOHNSON J.R. (1993), Heat flow from the Earth’s interior: Analysis of the global data set, in Reviews of Geophysics, vol. 31, n. 3, pp. 267-280.
[4] BUONASORTE G. (2008), Geological backgroundof the Italian geothermal resources, Restamac Workshop 2008, Geothermal Heating and Cooling in Italy and in the Mediterranean Countries, Milano, 19 maggio
[5] van Wees J.-D., Durst P., Manzella A., Nardini I. (2013), Geothermal exploration. Manzella A., Nardini I., Mendrinos D., Karytsas, C. (eds.), in Manual of the Training Course on Geothermal Electricity, 8−11 October 2013, Pisa, Italy, pp. 9−14.
[6] Per esempio in presenza di graniti High Heat Production (HHP) che generano cioè un alto flusso termico addizionale di origine radiogenica a causa degli isotopi radioattivi in essi contenuti.
[7] TESTER J. et al. (2006), The Future of Geothermal Energy – Impact of Enhanced Geothermal Systems (EGS) on the United States in the 21th Century, Massachusetts Institute of Technology, Cambridge (MA), 358 pp.,http:// www1.eere.energy.gov/geothermal/future_ geothermal.html.
[8] DE NATALE G. (2010), Challenges in developing high-temperature, unconventional resources in Italy, TP – Geoelec Meeting, Bruxelles, marzo.
[9] Per pressione litostatica si intende la pressione dovuta al peso delle rocce sovrastanti.
[10] TESTER J. et al. (2006), The Future of Geothermal Energy, op. cit
[11] Un processo di flash consiste in una brusca diminuzione di pressione e comporta l’evaporazione di una frazione di liquido, in quantità dipendente dall’entità della diminuzione di pressione
[12] Enel (2008), Rapporto ambientale, http://www.enel.com/ it-IT/doc/sustainability/AmbientaleIta2008.pdf
[13] BLOMFIELD K.K. et al. (2003), Geothermal Energy reduces green house gases, in GRC Bulletin, n. 32, pp. 77-79.
[14] Enel (2008), Rapporto ambientale, op. cit.
[15] Nel caso di sorgente termica a temperatura variabile, il rendimento del ciclo reversibile è calcolabile utilizzando la temperatura media logaritmica calcolata in funzione delle temperature minima e massima della sorgente termica, e cioè:
ηREV = 1 – T0/Tml
essendo Tml = (Tfg, IN – Tfg, OUT)/ln (Tfg, IN/Tfg, OUT), dove T0 è la temperatura ambiente (cioè del pozzo di calore).
[16] TESTER J. et al. (2006), The Future of Geothermal Energy, op. cit
[17] HJARTARSON H., MAACK R., JOHANNESSON S. (2005), Husavik energy multiple use of geothermal energy, GHC Bullettin, n. 6.
[18] TESTER J. et al. (2006), The Future of Geothermal Energy, op. cit
[19] HUTCHINGS P.G., WYBORN D. (2006), Hot Fractured Rock (HFR) Development, Cooper Basin, Australia, Proceedings of the 28th NZ Geothermal Workshop, Auckland (Nuova Zelanda).
[20] BERTANI R. (2009), Geothermal Energy in the World: Current Status and Future Scenarios, Geothermal Energy Development -Opportunities and Challenges, Pomarance, September.
[21] BERTANI R. (2009), Geothermal Energ, op. cit.
[22] BERTANI R. (2003), What is geothermal potential, in IGA News, n. 53, pp. 1-3.
[23] Per maggiori dettagli cfr. CHANDRASEKHARAM D., BUNDSCHUH J. (2008), Low-Enthalpy Geothermal Resources for Power Generation, Indian Institute of Technology, CRC Press.
[24] BERTANI R. (2009), Geothermal, op. cit.
[25] Buonasorte G., Cataldi R., Franci T., Grassi W., Manzella A., Meccheri M., Passaleva G. (2011): Previsioni di crescita dellageotermia in Italia fino al 2030 – Per un Nuovo Manifesto della Geotermia Italiana -, Pacini Edit., Pisa,.
Bibliographie complémentaire / Bibliografia addizionale
BERTANI R. (2015), Geothermal Power Generation in the World 2010-2014 Update Report, Proceedings World Geothermal Congress 2015, Melbourne, Australia, 19-25 aprile 2015.
TP – Geoelec (2010), Draft Geoelec 2050 Vision, http:// egec.org/index.html
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